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Il futuro, senza speranza e sopraffatto da logiche aziendali, fa di nuovo capolino.
Orwell, Huxley, Gibson, Dick, scott e verhoeven, letteratura e cinema hanno ciclicamente rievocato il demone del futuro a tinte scure dove le multinazionali si mangiano le istituzioni vomitando poi una realtà funzionale al profitto/potere. Scenari che fanno un certo effetto, peggio di tante minacce di distruzione atomica, forse perché li sentiamo scivolosamente vicini.

Gli alieni sono ovviamente ostili e letali e sputano acido dalle ferite, ma quello che fa venire i brividi è la prospettiva che facciano parte del disegno di qualche corporazione, partito politico...

L'orrore peggiore non si limita ad accadere ma è diretto, parte di un programma.
Tutti ricordiamo il corpo del poliziotto mutilato che viene riportato in vita e ricostruito da una azienda che si chiama Omni Consumer Product per diventare un prodotto per la pubblica sicurezza, il primo supereroe che nessuno vuole essere.

In inside, gioco del 2014 della danese Playdead, c'è un bambino in fuga, il mondo è essenzialmente buio e minaccioso. Scappa da qualcosa che gli da la caccia e per la strada trova individui controllati e individui che controllano.

E'un bambino strano che sembra non avere altra scelta che continuare a fuggire e In realtà la fuga stessa sembra più una missione.

Forse è anche lui un esperimento e forse non è neanche un bambino. Si ha la netta sensazione che l'apparente fragilità del personaggio sia creata per facilitare l'immedesimazione.
Non siamo eroi con muscolature agili, siamo testardi e fragili organismi in fuga.
Ci "sentiamo" lui per corrispondenza, non per desiderio.

Nei panni del protagonista attraversiamo scenari industriali decadenti, laboratori inquietanti, sempre più in profondità, sott'acqua, per poi riemergere giusto il tempo di connettersi con il nostro, bizzarro, destino fatto di carne e godersi il finale: vinceranno i controllati o i controllori?
Le marionette o i burattinai? Oppure, forse, non vincerà nessuno?

Riferimenti

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